venerdì 10 febbraio 2012

INTERVISTA AI KALASHNIKOV
(Pubblicata originariamente su Morire contro nel Novembre del 2007)

Conoscevo il suddetto gruppo milanese già da qualche annetto visto che, se non ricordo male, in un acquisto (o scambio?) di materiale sonoro mi venne regalato un loro Cd, ”Romantic songs of dissidence”, che però in qualche modo “snobbai” ascoltandolo solo una volta per intero o giù di li'...Poi silenzio, fino a che non li vidi al Centro Sociale Drazdamir di Ferrara (R.I.P.) nel Marzo del 2006 durante il mini-tour di tre date degli inglesi Lost cherress, con cui appunto suonarono di spalla...Cosi', di nuovo ancora pausa fino a quando, pochi giorni fa, mi contatta Stefano via mail per chiedermi di partecipare con un loro pezzo alla compilation anticarceraria/antirepressiva benefit per la CASSA ANARCHICI INQUISITI, che sto preparando...Ovviamente accetto subito anche per l'entusiasmo e la semplicità trasmessa dalle sue parole, cosa che fa sempre un grandissimo piacere, e naturalmente perchè come gruppo non mi dispiacciono affatto...Inoltre, il "rivederli" sbucar fuori mi ha ricollegato appunto a quel concerto ma soprattutto a quando, sempre durante quella serata, parlai con uno di loro (credo Nino, il bassista) che mi regalò il Cd/Documentario sullo sciopero dei ferrotranvieri milanesi del 2003, di cui lo stesso Stefano accenna nell'intervista che segue...Cosi', nell'entusiasmo di riallacciare di nuovo i rapporti con i Kalashnikov o meglio, di farli fiorire, aspetto il loro pezzo via posta ma che succede? Che mi arriva non una traccia e basta come credevo, bensi' il loro ultimo Cd! Bè, ennesimo gesto di gentilezza che mi ha troppo reso felice! Cosi' non solo gli ho proposto di spedirmene altre copie (5) in cambio dell'ultimo numero della mia fanza (ancora 5 copie), ma non ho potuto fare a meno di intervistarli! Fra l'altro, è anche la prima intervista ad un gruppo che metto in rete...Bè, valido sverginamento, dedicato a chi suona da 11 anni e che, come un dito nel culo diretto a chi purtroppo se la tira da fare schifo ,si mostra semplice ed entusiasta...Mi viene inevitabilmente da dire, adesso, che la vita mi insegna che molte volte anche dietro determinati gesti positivi vi sono persone che si svelano (stringendo i rapporti) calcolatrici opportuniste e in buona parte anche fasulle (il tutto per paure e debolezze) ma, nonostante questa mia parentesi (che forse può risultare pure un pò dissonante e triste), preferisco sempre non dare peso a queste cose e fidarmi delle emozioni che provo da subito, godermele fino in fondo, e ci mancherebbe altro poi che non fosse cosi'...Quindi, continuando, fra tutto ciò che mi è piaciuto tanto di loro c'è anche il prezzo del Cd, ovvero 5 Euro...No perchè dovrebbe essere normale,una cosa del genere, ma aimè a volte non lo è, e anche in circuiti come quelli dell'autoproduzione...Vi sono “prodotti”c he hanno prezzi più alti e sono scarnissimi di contenuti scritti e grafici mentre questo, invece, vale alla grande il prezzo visto che è bello succoso e segue perfettamente la “linea diritta” (Peggio Punx?) della comunicazione-non-consumo-non-speculazione...Un lavoro bellissimo:Cd con immagine stampata, copertina “cartonata” (racchiusa in una bustina di stoffa) che si apre “a croce” contenente appunto testi, pensieri, spiegazioni, artwork e cosi' via per 9 pezzi (compresa una cover degli straight-edge Declino!) di puro...E mi fermo qui...Mi fermo qui non solo perchè il loro è uno stile particolarissimo e voglio che vengano scoperti direttamente all'ascolto, ma anche e soprattutto perchè in tutti questi anni io non mai fatto una recensione neanche sfiorandola. Perche'? Perchè non mi piace. Non mi piace prendere un disco e analizzarlo nei suoni e anche in tutto il resto (ma soprattutto nei suoni). Ancora perchè? Perchè mi sa di vivisezionante e pure un pò di meccanico. Con questo non ce l'ho affatto con chi recensisce i dischi, sia chiaro, assolutamente no, ma la sola idea di mettermi a scrivere che ne so:“Le chitarre pompano/graffiano ma non sono potentissime, l'influenze ricordano...il genere sembra...la voce è simile quella di...” o altro ancora, sinceramente mi fa un pò ridere...Semplice questione di pelle. E poi ho sempre odiato l' “approccio tecnico” al rock 'n' roll:il vagliare ad esempio come una persona suona, la bravura di un batterista, il “doppio-pedale spaccaculo” (uscendo in questo caso sicuramente da quello in questione!) e tutte 'ste cazzate...Comunque, l'unica cosa che mi è davvero spiaciuta è che alle mie domande ha risposto, appunto, solo Stefano. Peccato davvero. Sarebbe stato bellissimo se lo avessero fatto almeno in due o in tre, se non proprio tutti! E vabbè. Non dirò di certo, però, e neanche scherzando come potrei fare, che “nella vita non si può avere tutto” perchè non ci credo, in questo detto cosi' soffocante e in parte anche falsamente umile...Dai, chiudo questa mappazza di introduzione al limite del logorroico dicendo che ovviamente, per chi dorme ad occhi aperti e non l'avesse ancora capito, il loro Cd è qui nella mia distro fino ad esaurimento copie...Lo vuoi? Contattami!

Pace, amore, sincerità, anarchia

A.


Cominciamo in modo semplice e classicone ovvero come, dove e quando vi siete formati e il perchè della scelta di questo nome... Il gruppo di persone che ruota intorno ai Kalashnikov si è consolidato alla fine degli anni ’90 a Milano. In quel periodo ne avevamo le tasche piene di gruppi pop-punk disimpegnati, h.c.straight edge all’amatriciana, dell’immaginario pre-confezionato importato dagli Stati Uniti e dello spirito imprenditoriale che aleggiava nella scena. Il vento tirava in una direzione, noi in un’altra. Come rifiuto di tutto questo, scegliemmo di cantare in italiano e di professare una chiara ascendenza culturale anarco-liberataria. L’idea di accostare un immaginario bellico ad un contesto anarco-pacifista non è per nulla nuovo:La musica è un fucile caricato di futuro! Abbiamo poi cercato di dare una nostra interpretazione alla musica che ci è sempre piaciuta:L’anarco-punk inglese (Crass, Dirt), il vecchio h.c.italiano (Declino, Wretched) e americano (Bad Religion, Dead Kennedys), recuperandone il significato e calandolo in una musica personale. Quello che ci è sempre interessato è stato il contenuto della musica, le idee, e la potenza con cui la musica le veicola. E l’urgenza di comunicare, di raccontare. Nel nostro ambiente la musica deve essere uno strumento di comunicazione e condivisione, non uno strumento narcisistico, una valvola di sfogo o una scusa per divertirsi e passare il tempo. Quando sento dire da alcuni gruppi che si sono formati per noia, mi viene il sangue alla testa... Ditemi la vostra sulla cosiddetta "scena"...Cosa vorreste che migliorasse, cosa non vi piace affatto, cosa invece vi sta bene, e cosi' via... Il mondo d.i.y. è vitale e pieno di amicizia. In tutti questi anni trascorsi a suonare in giro, in Italia e in Europa, abbiamo incontrato persone fantastiche e grande ospitalità. Non mi piace parlare di “scena italiana”, preferisco immaginare una scena globale, una rete con tanti nodi e senza strappi. Oggi credo che le scene geografiche siano diventate anacronistiche. Mi piace parlare di persone che condividono situazioni e progetti, piuttosto che di scena, perché questo termine rinvia ad una realtà astratta che sembra esistere aldilà delle persone che ne fanno parte e non si sa in realtà che cosa poi significhi. In Italia ho conosciuto e conosco molte persone che frequentano gli ambienti punk/h.c. che sono in gamba:solitamente s’incontrano ragazze e ragazzi disponibili, passionali ed intelligenti. Persone e luoghi che si sbattono e si danno da fare con autentico spirito controculturale e indipendenza creativa vanno sostenuti con ogni mezzo e senza mezzi termini. Quello che mi annoia della scena è sicuramente la scarsa fantasia che a volte s’incontra, che ogni tanto mi sembra sfociare in apatia creativa. C’è la tendenza a ripetersi, a seguire determinati modelli e a parlare per frasi fatte. Questo è l’unico aspetto che mi sento di rimproverare, ma è un aspetto che appartiene ad ogni ambiente, e non solo a quello della musica punk/h.c.autoprodotta. Dopo tanti anni di frequentazione di questa realtà, una piccola critica costruttiva me la concedo. L’ambiente d.i.y. è per sua natura instabile, cangiante e scoordinato, si basa sulla passione e sull’impegno individuale; se tutto questo a molti può sembrare un aspetto negativo, io lo reputo un aspetto di forza, unicità e bellezza:è il segreto della vitalità, dell’estro e della profonda umanità che pervade l’ambiente dell’autoproduzione punk/h.c., una realtà egualitaria, sfuggente ed anti-dogmatica. Quanto, quando e in che modo vi sentite vicini alla "classe operaia"? Se ad esempio vedete degli operai che scioperano o manifestano perchè una fabbrica chiude o altro ancora vi schierate totalmente con loro (magari anche partecipando ad alcune situazioni), perchè credete che queste persone abbiano diritto comunque di mangiare ma portando avanti contemporaneamente ciò che odiamo, oppure preferite staccarvi radicalmente da questi contesti? Esiste ancora una “classe operaia”? Il termine “classe” è arcaico ed ideologico. Non mi piace e non serve ad indicare un soggetto sociale ben definito. Qui al nord la situazione lavoro è altamente incasinata e parlare di classe operaia è davvero una cosa anacronistica. A Milano di fabbriche non ce ne sono più. L’operaio specializzato che lavora qui guadagna il doppio di me e probabilmente vota Alleanza Nazionale. E non gliene frega un cazzo di niente. Nei cantieri ci sono immigrati che lavorano come pazzi per uno stipendio da fame ma a loro va benissimo così. Poi c’è il moderno “cognitariato” precario rappresentato dai giovani diplomati/laureati che lavorano negli uffici, nei call-center e negli studi con contratti lavorativi comici e stipendi ai limiti della sussistenza. Qui da noi non esiste una coscienza di classe, né esiste una forma concreta di solidarietà tra i lavoratori. Esistono solo interessi di categoria. Negli anni scorsi abbiamo seguito con attenzione gli scioperi degli autoferrotranvieri della nostra città. Nel 2003 accadde infatti un fatto unico:i lavoratori dell’ATM (azienda trasporti milanese) misero in atto uno sciopero selvaggio che paralizzò la città, in aperto conflitto con i sindacati. Durò alcuni giorni, e fu un episodio incredibile in una città politicamente apatica come Milano. Seguimmo i fatti e insieme ad alcuni amici del C.S.O.A. Garibaldi (un tempo vecchia roccaforte autonoma in città, ora sgomberata) girammo un documentario che voleva essere un bilancio di quella vicenda. Quella fu una protesta sincera, libera dai gioghi imposti dai sindacati e animata da un palpabile disagio. Per questo ci appassionò e ci fece sentire vicini quei lavoratori. Credo che quando emerge l’umanità delle persone di fronte alla crisi, quando la protesta non è routine o sceneggiata, ci sia concretamente la possibilità di una condivisione. Portare avanti ciò che odiamo? Io odio lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, le gerarchie, le logiche del profitto che vanno a discapito della dignità delle persone. Mi piace la solidarietà sincera e la comunicazione tra le persone, libera da presupposti ideologici e ipocrisie. Che ne pensate di droga ed alcol, e naturalmente di chi ne fa uso? Trovo deprecabile qualsiasi uso di sostanze fino a se stesso, ma non lo condanno se ha finalità artistiche o creative. E’ la logica dello sballo per moda e per senso di appartenenza che disprezzo. Il problema della droga è che acquistandola si alimenta la malavita organizzata. Questo fatto è evidente e drammatico,ma viene spesso dimenticato. Milano, tra l’altro, è il regno dei cocainomani. La cosa impressionante è che ormai qui da noi tantissime tipologie di persone fanno uso di cocaina. Spero che questa merda rimanga fuori dai nostri ambienti. L’alcool è un discorso diverso. Se devo dirti la verità, i Kalashnikov ne sono dei grandissimi consumatori. Che dire? Anche qui vale una regola molto semplice, quella del non eccedere creando casini a sé e, soprattutto, agli altri. Siete pacifisti fino in fondo, oppure non lo siete affatto? Credete che si possa riuscire a cambiare tutto in modo non violento attraverso ad esempio la contro-informazione e quindi il formarsi di una forte coscienza popolare, oppure pensate che dobbiamo arrivare per forza di cose a dover impugnare le armi in nome della rivoluzione? Personalmente mi fa paura anche il solo pensarlo, questo, ma voi che mi dite? Guerra è diverso da conflitto sociale. Per me la guerra è quella cinica dei governi che uccidono per lo sfruttamento delle risorse di una regione o per il controllo politico-economico di un’area. Quella guerra fa schifo e tutti lo sanno, ma è figlia del mondo capitalistico e mercantile in cui viviamo:finché le logiche del sistema saranno sempre le stesse…Il conflitto sociale è un’altra cosa, ma credo che l’immagine del popolo che impugna roncole e forconi per detronizzare il re sia un po’ fuori moda. Sono i rapporti sociali ad essere cambiati. La violenza in generale è oggi l’ultima arma che sceglierei per scontrarmi contro il Sistema, visto che il Sistema sa e può picchiare molto più di noi! Io sono per una tattica diversa basata sulla resistenza, sull’arte e soprattutto sull’autonomia, sulla costruzione di alternative reali al modo tradizionale di intendere i rapporti tra le persone e la vita in generale. E’ una strategia di “scomparsa”, e non di scontro. Ti consiglio di leggere, se non l’hai già fatto, un saggio famoso ad opera di un anarchico americano molto particolare:TAZ di Hakim Bey. Alcuni lo considerano un testo datato,ma secondo me è attualissimo. Hakim Bey propone una via non dogmatica e non violenta alla rivoluzione, fondata sulla colonizzazione (anche temporanea) di aree del Sistema in cui è possibile insediare nuove forme di esistenza emancipata, al di fuori delle leggi scritte e non scritte. La salvezza dei ribelli sta dunque nella capacità di costruire mondi alternativi nel mondo attuale e non in quella di distruggere questo mondo per poi ricostruirne un altro che poi alla fine non si rivelerà forse meglio del precedente. Le “rivoluzioni” armate e totalitarie, quelle che hanno voluto spazzare via l’esistente per ricostruire una società da zero, hanno mai prodotto mondi liberi e divertenti? Non mi pare! E’ banale dirlo, ma ne sono convinto:la vera rivoluzione è tale quando avviene nell’intimo di ciascuno; allora nascono realmente i presupposti perché le persone costruiscano un Mondo Nuovo. Il problema è che una “forte coscienza popolare” non si avrà mai. Un cambiamento di massa è impossibile. A maggior ragione in un’epoca d’individualismo, massificazione, di falso benessere e stupidità diffusa come la nostra. Io voglio una rivoluzione immediata e divertente! Allora tanto vale costruirsi spazi autonomi e liberi, nascosti dagli occhi indiscreti, in cui vivere con le persone con cui esiste un’affinità e una profonda condivisione, fuggendo e capovolgendo le regole morali, estetiche e sociali del mondo capitalistico corrotto e schiavo del lavoro. E’ inutile illudersi, l’unica rivoluzione immediata ed accessibile è quella di costruire “parentesi” in questo mondo e viverci finché qualche sbirro non ti costringe a sloggiare. E allora il gioco ricomincia…Per non farsi beccare lo “spazio autonomo e autogestito” deve essere sfuggente, impossibile da etichettare, nomade e anti-gerarchico…Per esempio la musica punk/hc diy è una fantastico “spazio autonomo e autogestito” privo di un’organizzazione centralizzata, libero dalle logiche mercantilistiche, privo di una collocazione spaziale definibile (il suo territorio è il mondo intero!) e pieno di proposte artistiche originali e tentativi di comunicazione fuori dagli schemi (o almeno così dovrebbe essere!). E’ una realtà che non cerca lo scontro con il mercato ufficiale, ma sceglie di vivere un’esistenza autonoma, nell’ombra, fottendosene delle mode e delle regole del mondo esterno. E non è detto che queste realtà autonome non debbano comunicare con l’esterno, anzi: è importantissimo farlo! Ma con amore e umiltà. Informando e coinvolgendo. Se l’alternativa è allettante tante persone l’abbracceranno e una piccola rivoluzione avverrà. Capisci? Spetta a noi rendere la nostra alternativa affascinante, bella e confortevole. E per fare questo ci vuole passione, personalità, pazienza e tanto impegno. Come individui, quali sono le vostre paure più grandi e quali sono, invece, le cose che vi danno più fastidio sia nelle persone, sia quando vivete la vostra giornata in generale... Personalmente la paura più grande è quella di arrivare ad un certo punto senza entusiasmo per fare le cose che ho sempre fatto e che mi è sempre piaciuto fare, come suonare, scrivere, sbattermi per la musica, anche solo andare ai concerti…E la rabbia più grossa, se e quando accadrà, è che l’entusiasmo non l’avrò perso, ma me l’avrà rubato quest’esistenza grigia e ripetitiva a cui siamo inchiodati. Noi non siamo più giovani:ci tocca confrontarci quotidianamente con una realtà che fa di tutto per uccidere la creatività e la voglia di fare; da parte nostra cerchiamo di essere più propositivi possibile,v ivendo con dignità e impegno i momenti liberi (o rubati), cercando di condividere le nostre passioni e le nostre aspirazioni. Non vogliamo cedere ad un esistenza annichilita e atona, fatta di rapporti umani inautentici e triste routine lavorativa. Parlatemi di quel posto chiaramente orribile che si chiama Milano:dal rapporto/approccio che ha la gente comune lassù con le idee/situazioni antagoniste, alla città stessa, alla "scena" dalle vostre parti, e cosi' via... Milano è giusto giusto un posto di merda, a cui, malgrado tutto, siamo molto affezionati. In questi anni, le occupazioni milanesi hanno subito un dura controffensiva da parte della fottutissima amministrazione cittadina. Negli ultimi anni sono stati sgomberati alcuni luoghi storici e meno storici come Bulk, Malamanera, Orso e Garibaldi. E Milano rimane la solita città cannibale votata al business, al divertimento frivolo e alla tirata di coca. La speculazione edilizia è ai massimi storici e mi sembra profilarsi all’orizzonte una nuova tangentopoli, questa volta istituzionalizzata, dove fare cassa e profitto mette d’accordo volgari imprenditori e amministrazioni senza scrupoli. Nella città della moda l’importante è capitalizzare. Nessuna seria politica abitativa,solo case di lusso e uffici. Fra poco saremo la capitale europea dei parcheggi. Ci sono ettari di zone dismesse in periferia, con situazioni di degrado umano e ambientale tremendo, ma nessuno fa un cazzo. Insomma:la storia è sempre quella. E noi continuiamo a viverci in mezzo! La scena a Milano malgrado tutto è sempre viva. Poche persone, ma buone. I posti migliori per organizzare d.i.y. meeting sono la Villa Occupata (storica realtà di matrice anarchica nella periferia nord) e il Kasotto (un divertente ex-deposito per barche sulle rive mefitiche del naviglio, molto rovina ma molto divertente). Il sentimento dei milanesi nei confronti di queste realtà è:indifferenza principalmente, disprezzo ed irrazionale paura quando, per errore, ne sentono parlare. Qui al nord certi partiti politici come Alleanza Nazionale ed in particolare Lega Nord non fanno altro che fare del ridicolo e stupido terrorismo nei confronti dei centri sociali, come se questi ultimi fossero l’origine di tutti i problemi della nostra società:patetico e deprimente. Tant’è che a Milano lo sgombero di un centro sociale può avvenire dalla sera alla mattina, mentre situazioni di tremendo degrado e abbandono possono attendere anche 10-20 anni. A Milano tutto si muove o per interessi politici o per soldi. Si arriverà ad un certo punto che pagheremo tutti le conseguenze di quest’amministrazione del cazzo. E’ un vero orrore, e la cosa più inquietante é che pochi ne sono realmente consapevoli. Mi spiegate come mai avete adottato questo modo di esprimervi cosi' chiaramente fumettistico nelle grafiche, e come mai i vostri testi sono impostati con questo linguaggio cosi' particolare che non è solo prettamente metaforico o introspettivo ma si muove, in molti casi, dentro un impostazione quasi "fantastica"o forse, meglio ancora, "narrativa"? Non credete che sia giusto, inoltre, dire le cose in modo più diretto chiaro e netto, politicamente parlando? E poi, partecipate tutti alla stesura delle grafiche e dei testi, oppure c'è precisamente qualcuno/a in particolare che se ne occupa? Beh, qui il discorso è piuttosto complesso! Innanzitutto l’utilizzo che facciamo delle grafiche pop, in particolare nell’ultimo album, è un tentativo di immergere icone tipiche della cultura popolare in un contesto a loro, come dire, non familiare, creando un cortocircuito di senso. Un utilizzo finalizzato a creare un contrasto. L’iconografia pop e fumettistica è solitamente legata ad una visione edulcorata della vita:noi la prendiamo e la gettiamo in pasto alla cruda realtà. Come nell’artwork del nostro ultimo disco:“Sogni per Eroi Super-Sconfitti” dove ho buttato in mezzo alla guerriglia urbana alcuni supereroi ritagliati da vecchi fumetti. E’ una specie di détournement, come dicevano i situazionisti:uso critico e demistificatorio dei prodotti di uso comune. Il significato del titolo è duplice:da una parte quando i supereroi si scontrano con la realtà non se la passano bene, si trovano a disagio e piangono!Sfrattati dalle vignette, dai loro mondi di carta, gli eroi si trovano disorientati, i loro costumi si sgualciscono, si sporcano di fango nelle pozzanghere e si trovano a combattere contro un nemico “normale” con armi altrettanto “normali”. Ma gli eroi super sconfitti del titolo sono anche altri:quelli che si sbattono per un’esistenza che non è ammissibile in questa società, e che in fondo agli occhi di tutti sono degli sconfitti:noi a questi (anti) eroi dedichiamo le nostre poesie e la nostra musica. Da qui:sogni per eroi super-sconfitti. La nostra è un’iconografia diversa da quella dei tipici gruppi anarcopunk che in fondo riciclano sempre i soliti simboli, le solite copertine, e attingono al solito immaginario. Noi cerchiamo di trasmettere un’idea di crisi, di conflitto, di cambiamento con altri strumenti estetici. Quest’aspetto mi annoia molto della scena anarcopunk o h.c.:il fatto che raramente si esca dai classici richiami estetici ed iconografici. Purtroppo questa scelta di avere un aspetto diverso dai tipici gruppi anarco-punk e h.c.ci rende un pò incatalogabili e forse è anche per questo che alcuni, nel giro, non si accostano alla nostra musica o fanno fatica ad apprezzarla, benché noi esprimiamo le medesime idee dei gruppi D-beat con le A cerchiate sui giubbotti e le copertine dei dischi à la Discharge. Per quanto riguarda invece il linguaggio con il quale comunichiamo…È vero che lo si può trovare complicato, strabordante di immagini e metafore, però anche qui vale lo stesso discorso fatto sopra: in fondo i nostri testi racchiudono un messaggio riconducibile alla critica di matrice anarco-libertaria, i temi sono quelli tipicamente controculturali della musica punk/h.c., però cerchiamo di parlarne in modo diverso dal solito,ricorrendo ad immagini non convenzionali e raccontando storie, invece che gridando slogan. Certo, a volte la chiarezza e la semplicità possono essere una buona cosa, ma non sempre. Innanzitutto noi viviamo in un mondo che fa della semplicità di messaggio, dell’immediatezza e della velocità di lettura delle informazioni un valore assoluto. Ma la realtà è complessa, piena di contraddizioni e mai pacificata:come esprimerla, raccontarla con un linguaggio semplice ed univoco? Credo che le cose troppo semplici siano spesso o stupide o false, perché non rispecchiano la complessità dell’esistente. Il problema è che quando posizioni politiche si trasformano in slogan preconfezionati per un uso collettivo e mass-mediativo allora si svuotano e diventano senza senso. Noi vogliamo parlare di contro-cultura, anarchia e autonomia, ma riteniamo anche che la musica debba emozionare e commuovere. Cioè far provare nell’intimo del cuore di ciascuno ciò che noi comunichiamo. Cosi' quando pariamo di un problema troviamo che sia meglio inserirlo in una storia o condirlo con immagini poetiche, per poter arrivare con efficacia anche al cuore e all'immaginario delle persone. Ditemi cosa credete che vi sia di prioritario da portare avanti (o da creare) in un occupazione... Aldilà degli aspetti prettamente tecnici, sicuramente un’identità di intenti tra gli occupanti è la cosa principale,soprattutto all’inizio, per garantire entusiasmo e voglia di sbattersi; creare uno sfondo comune entro il quale operare. Avere ben chiaro che cosa si vuole costruire, che utilizzo si vuole dare allo spazio…Insomma, bisogna avere un progetto chiaro e condiviso. Questa è la base sulla quale costruire l’effettiva attività di uno spazio occupato e autogestito. Una cosa fondamentale è poi l’ospitalità, l’amore e il calore con il quale si accolgono le persone che frequentano lo spazio. Senza questi due fattori (chiarezza progettuale ed ospitalità) tutto crolla! Chiudete, se volete, dicendo tutto ciò che desiderate dire che non era incluso nelle mie domande! Solo due parole per ringraziarti, Adriano! Non la solita intervista! E’ bello incontrare persone che vogliono approfondire i contenuti e conoscere le persone che stanno aldilà della musica!

I Kalashnikov sono: 
Milena - Voce
Sarta - Chitarra
Puj - Chitarra
Don Suragn - Tastiera
Nino - Basso
Rissa Batteria/Bongo
Ghallonz - Grida/Sintetizzatori
Annalisa - Sintetizzatori
Quaglia - Sax
Peppus - Storie/Testi

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