lunedì 23 febbraio 2015

martedì 3 febbraio 2015

FRECCE TRICOLORI
Quando la propaganda nazional-militarista si traveste
in "spettacolo" per un popolo di servi ignoranti

lunedì 2 febbraio 2015

E' NATO "L'URLO DELLA TERRA"
NUOVO GIORNALE ECOLOGISTA RADICALE

In questo numero:
- L’ecologismo radicale e il selvatico    
- Le conseguenze sociali e politiche dell’esposizione e dell’uso dei social network    
- Memorie dal futuro: la singolarità tecnologica che viene    
- Hambach la foresta che resiste: intervista        
- Un’altra campagna è possibile…     
- Attacco alla Bayer    
- Repressione di Stato: autorepressione di Nicole Vosper

Editoriale:

In tempi di social network, di relazioni frettolose e più in generale dove il senso delle cose sfuma in una moltitudine quantitativa, rilanciare con un giornale cartaceo può sembrare perlomeno fuori luogo o fuori tempo, secondo quale è lo spazio da dove facciamo partire il nostro sguardo. Questo strumento non ha alcuna pretesa di essere la soluzione di una qualche mancanza, definita o indefinita, di un preteso movimento o contesto. Sicuramente non ci interessa riempire quel calderone dell’informazione alternativa, che per sua stessa costituzione non può mai riempirsi per lo sconcerto dei suoi maggiori promotori. Intendiamoci, la controinformazione ha la sua importanza, ma pensiamo che questa non deve rimanere mera informazione e deve essere capita nei contesti dove va ad operare per poter essere successivamente agita nel vivo delle lotte. La consapevolezza critica non è da confondere con l’accumulo di informazioni. Nel pieno dell’informazione mai ci si è ritrovati così poco informati e spaesati come di questi tempi, dove la vecchia cassetta degli attrezzi non contiene strumenti utili e precisi, ma un calderone di attrezzi per tutti gli usi, anche quelli che non conosciamo. Dobbiamo ancora capire qual’è la relazione possibile tra ogni singolo strumento e quel determinato problema che ci troviamo ad affrontare.

Per affrontare i problemi che di fronte a noi non vanno certo a diminuire, ma semmai si moltiplicano e convergono tra loro lasciandoci sempre indietro, di strumenti ne servono, non se ne può fare a meno se si vuole mettere insieme una progettualità, seppur limitata e circoscritta al momento. I tempi corrono con tutte le possibili esperienze che si possono fare e incontrare: tutti questi momenti e situazioni sono li a dimostrarlo, dotarsi di un progetto, che non è da confondere con le strategie, si rende fondamentale se si vuole essere per questo sistema qualcosa di più di un semplice fastidio occasionale. L’urlo della Terra si fa sempre più lacerante, tanto che ormai sembra diventata l’abitudine. Questo urlo però non parla soltanto di un pianeta che muore sempre di più sotto i colpi della civilizzazione, che si degrada e si impoverisce anche di senso insieme ai suoi abitanti animali e non. C’è anche una Terra che si ribella, che lotta e resiste nonostante tutta questa situazione. Di fatto quello che fa la differenza, che è immediatamente comprensibile senza tanti sofismi, è il non essere complici di quella distruzione e degradazione del vivente che è stata portata avanti fino adesso e di quella che verrà, che è decisamente più tenace e soprattutto irreversibile nelle sue conseguenze ultime.    

La non collaborazione con questo sistema di morte non è abbastanza: la disobbedienza è di fatto tollerata perché recuperata o recuperabile, al contrario invece della conflittualità permanente, quella insuscettibile di ravvedimento che non trova soluzione ai problemi sedendosi allo stesso tavolo con chi sfrutta e bombarda nella nuova veste democratica. Il nuovo tecno-totalitarismo non è solo quello dell’imposizione, ma soprattutto quello della partecipazione, della coesistenza: si è chiamati tutti e tutte a collaborare su base volontaria al proprio sfruttamento, perché un’altra possibilità non esiste. Di fatto l’alternativa è già inclusa nell’unico pacchetto che può contenere una centrale atomica insieme ad una centrale eolica che si fanno un’ottima compagnia in un bel prato verde. La de-responsabilizzazione si è diffusa largamente in ogni parte interessata, fino ad insinuarsi anche nelle nostre teste: la crisi ecologica e sociale non è causa nostra e neanche del sistema. Da una parte c’è chi con la crisi ne ha fatto il nuovo business, dall’altra c’è chi subisce tutte le conseguenze di un sistema al collasso che fa pagare a vite ed ecosistemi il proprio sfacelo. Niente si salva dalla megamacchina che tutto trita sotto il proprio sostentamento. Come quegli animali resi meri corpi che il dominio ha destinato a un’infinita catena di riproduzione e morte.    

Affronteremo delle questioni che ci stanno particolarmente a cuore e che consideriamo della massima importanza come gli sviluppi, le diramazioni e convergenze delle tecno-scienze, la crisi ecologica e con essa la degradazione del vivente. Tratteremo le questioni da vari aspetti e vari sguardi per permettere di costruire un pensiero ed una critica radicale che possa essere una traccia per capire quello che sta avvenendo e soprattutto che non avviene nelle lotte. Non pubblicheremo di tutto, cosa per altro poi abbastanza improbabile considerando l’esistenza di siti internet e bollettini che già svolgono l’importante lavoro della controinformazione. Punteremo su singoli aspetti:  uno scritto, un’azione che a nostro avviso possa essere utile per capire, per portare dei dubbi e degli interrogativi. Saranno infatti dubbi e interrogativi la nostra prerogativa e non le solite risposte facili e buone solo per fare degli slogan. L’Urlo della Terra vuole essere una voce di quella resistenza che dura da generazioni e che unisce in un unico filo un Penan del Borneo a chi difende le ultime foreste in Europa, una contadina indiana che protegge la biodiversità dai semi terminator ad un falciatore di campi O.G.M. di una moderna stazione sperimentale in Inghilterra…

Per contatti e richieste: urlodellaterra@inventati.org (3 euro a copia più spese di spedizione 1,30 euro; per i distributori minimo 5 copie: 2 euro a copia più spese di spedizione 1,30 euro; spese di spedizione per l’estero: 5,50 euro). CONTO CORRENTECodice IBAN: IT11A0760111100001022596116. Per L’estero: Codice BIC BPPIITRRXXX Intestato a Marta Cattaneo (specificare la causale L’urlo della Terra)

BERGAMO, GIOVEDI' 5 FEBBRAIO:PRESENTAZIONE DEL LIBRO "L'ENIGMA
DELLA DOCILITA' O DELLA SERVITU' IN DEMOCRAZIA"

COLLETTIVO ANARCHICO UNDERGROUND
Via Ponchia 8 (quartiere Monterosso)


IL FASCISMO DELLE DEMOCRAZIE E I SUOI OPPOSITORI
L'enigma della docilità o della servitù in democrazia
di Pedro García Olivo (NAUTILUS, 2014)


I regimi liberali dell'Occidente avanzano verso un modello di gestione politica e organizzazione sociale che si potrebbe definire fascismo democratico. Condividendo con i fascismi del passato due tratti fondamentali (assenza di critica e opposizione interne unita alla spinta espansionistica verso l'estero detta oggi globalizzazione) possiede però due caratteristiche che lo contraddistinguono come novità storica: la de-politicizzazione della cittadinanza e la tendenza a celare le dinamiche autoritarie delegandole al suddito che in questo modo diventa sempre più il poliziotto di sé stesso e di tutti gli altri. L'indagine per tentare di risolvere questo Enigma della docilità muove i primi passi dalla scuola, e scorrendo la biografia dell'autore se ne capirà il motivo. Pedro García Olivo nasce nel 1961 a Fuente-Álamo (Albacete, Spagna); dopo la laurea in Storia e Geografia all’Università di Murcia si reca in Nicaragua al tempo dell’assedio alla Contra, lavorando in cooperative di assistenza agli sfollati di guerra, mentre a fine anni ’80 è in Ungheria come ricercatore all’Università di Budapest. Tornato poco dopo in Spagna diventa professore liceale, praticando deliberatamente l’insubordinazione fino ad abbandonare l’insegnamento: per otto anni si dedica alla pastorizia in un villaggio dell’entroterra di Valencia ma, per problemi economici, nell’estate del 2001 torna all’insegnamento. Nell’ottobre 2010 rinuncia definitivamente all’educazione: "ho smesso di lavorare e di obbedire, dedicandomi all’esperienza “demoniaca” dell’estinzione in libertà". Fedele a una delle massime della filosofia antica (“pensare la vita, vivere il pensiero”) e quasi come i cinici antichi, comincia un processo di realizzazione esistenziale che è anche un gesto di rivolta disperata, arrivando ad accettare aiuti e contributi economici, senza per questo sentirsi né umiliato né lusingato: "oggi ripongo il mio orgoglio residuale nella fuga dal lavoro e dalla scuola; e mi si può considerare come un autore mendicante".

L'opera di García Olivo parte dalla critica della pedagogia e di ogni  tipo di scuola, anche quelle cosiddette libertarie e gli esperimenti pedagogici “alternativi”, con la pubblicazione de El irresponsable nel 2000, e prosegue con El enigma de la docilidad (2005) e L'educatore mercenario (2007) finora unico suo testo tradotto in italiano da Sprofessori (disponibile in rete); in sintonia con le idee sulla de-scolarizzazione di Illich, si è ispirato anche ad alcune esperienze di paesi perlopiù sudamericani, dove si sta cercando di abbandonare l'educazione all'occidentale e di sostituirla con pratiche che negano la reclusione obbligatoria dell'insegnamento (le classi, i banchi, i computer...) e mettono in discussione il rapporto squilibrato, autoritario o amichevole poco importa, tra la figura dell'educatore-demiurgo e quella dello studente. La presentazione di questi libri lo porta non solo in giro per la Spagna ma anche a essere invitato in molti paesi del Sud America: La bala y la escuela (Il proiettile e la scuola, 2009) è una feroce critica non tanto dei danni che i nostri regimi stanno compiendo qui, in Europa, quanto di come essi esportino democrazia a colpi di arma da fuoco e libri di testo. Durante un viaggio nelle comunità zapatiste del Chiapas messicano ha preso alcuni “appunti filmici” che sono stati raccolti nel documentario Cuaderno chiapaneco, che si potrà eventualmente proiettare alla fine delle presentazioni. Infine, e L'enigma rappresenta proprio questa svolta, la sua attenzione si è concentrata sulla critica della nostra società nel suo complesso: nei suoi ultimi due libri (Cadavér a la intemperie e Dulce Leviatán) insiste sulla critica dello Stato del Benessere e analizza il ruolo storico e contemporaneo delle opposizioni – che spesso purtroppo si limitano alla superficialità, o peggio all'ambiguità se non addirittura alla complicità con il “nemico”, come nel caso spagnolo del movimento degli indignati o quello italiano dei 5stelle, ad esempio. Motivo per cui, essendo così forte la corrente ricuperatrice e così poco incisive le pratiche antagoniste, per non dir di peggio, la seppur minima speranza di trasformazione si può ritrovare in movimenti, gruppi e singoli individui che hanno scelto di vivere ai margini di questa società, collaborando il meno possibile con le sue istituzioni e con i suoi mercati, come nel caso della comunità gitana spagnola, o delle comunità residuali di montagna, o degli esperimenti di vita collettiva che si realizzano in ambiente sia urbano sia rurale, eccetera.

QUINDI, PER CONCLUDERE, ECCO UNA BREVE TRACCIA DEGLI ARGOMENTI CHE SARANNO 
AFFRONTATI DURANTE LE PRESENTAZIONI E I DIBATTITI

1) Presentazione della Anti-Pedagogia; critica del riformismo pedagogico; critica delle Scuole Libertarie; analisi delle pedagogie bianche interculturali contemporanee; critica radicale di ogni forma di Scuola. Descrizione e negazione delle pratiche scolastiche “progressiste” che riproducono nel migliore dei modi il demofascismo occidentale. 2) Accenno ad alcune modalità educative non scolarizzate: educazione comunitaria indigena, educazione tradizionale in aree rurali-marginali, educazione di clan dei popoli nomadi, “scuola familiare”, educazione alternativa non-istituzionale…La Scuola e il suo Altro. Educazione senza scolarizzazione. Nemici della scuola per amore dell'educazione. Pratiche educative autoctone spazzate via dalla mondializzazione della scuola di impianto occidentale... 3) Critica radicale delle società democratiche occidentali (che sono in crisi epistemologica, filosofico-culturale, etico-estetica, politica, socio-economica, ecologica...). Globalizzazione capitalista altericida; la scuola implicata nello sterminio planetario del dissenso e della differenza. 4) Fascismo e democrazia. Teoria del demofascismo o fascismo democratico. Dissoluzione della differenza in diversità. Il “poliziotto di sé stesso” dei giorni nostri. Sull'avvento della soggettività. La scuola del demofascismo. 5) Apologia dei margini (a proposito di indigeni, antichi pastori e persone non classificabili). I margini come spazio del vissuto (la fuga come arma). Fuga, margine e disperazione. Filosofi senza scuola e perfino senza alfabeto. 6) Critica dello Stato del Benessere. Critici, vittime e antagonisti dello Stato sociale. Critica del “lavoro sociale”. Socialcinismi (conflittualità conservatrice versus autocostruzione etica del soggetto). Critica dell'ideologia cittadinista e dei movimenti favorevoli allo Stato sociale.

Nautilus, Febbraio 2015
Mi ero alzato verso le otto di mattina quel 6 Agosto 1945. Il giorno avanti, alla sera, vi erano stati due allarmi, nessuno dei quali seguito da un bombardamento...Improvvisamente ricevetti un colpo sulla testa e tutto diventò oscuro davanti ai miei occhi. Gettai un grido ed alzai le braccia. Nelle tenebre, non sentivo che un sibilo di tempesta. Non arrivai a comprendere cosa fosse successo. Il mio primo grido, io l'avevo inteso come se fosse stato gettato da qualcun altro. Poi il mondo intorno mi ritornò visibile benché ancora non nettamente, ed ebbi l'impressione di trovarmi in un immenso cataclisma. Dietro la spessa nuvola di polvere apparve un primo spazio blu, seguito ben presto da altri spazi blu sempre più numerosi. Brevi fiammate cominciarono a sprizzare dall'edificio vicino, un deposito di prodotti farmaceutici. Era tempo di abbandonare quei luoghi. In compagnia di K, mi aprii la strada fra le macerie. Fumate vorticose si elevavano da tutte le case in rovina. Raggiungemmo un posto in cui le fiamme mandavano un calore insopportabile. Poi trovammo un'altra strada che ci portò sino al ponte di Sakai. Il numero dei profughi che affluiva verso quel posto aumentava sempre. lo presi la direzione del palazzo Izumi. I cespugli calpestati dalle persone in fuga avevano formato una specie di passerella. Gli alberi erano quasi tutti decapitati. Ciascuno dapprincipio pensava che solo la casa sua fosse stata colpita; ma una volta al di fuori, ci si accorgeva che tutto era stato distrutto. Tuttavia, benché le case fossero completamente distrutte, in nessun posto si vedevano quelle buche che normalmente fanno le bombe. Sull'altra sponda, l'incendio, che sembrava essersi calmato, riprese a divampare. Improvvisamente, nel cielo, al di sopra del fiume, vidi una massa d'aria straordinariamente trasparente che risaliva la corrente. Ebbi appena il tempo di gridare "Una tromba" che già un vento terribile ci colpì. I cespugli e gli alberi si misero a tremare; alcuni furono proiettati in aria da dove ricaddero come saette sul tetro caos. Si aveva l'impressione che il riflesso verde di un orribile inferno venisse a stendersi al di sopra della terra. Dopo il passaggio della tromba, ben presto il crepuscolo invase il cielo. Incontrai mio fratello maggiore il cui viso era ricoperto come da una sottile pellicola di pittura grigia. Il dorso della sua camicia era ridotto a brandelli e scopriva una larga lesione che somigliava ad un colpo di sole. Risalendo con lui la stretta banchina che costeggia il fiume, alla ricerca di un traghetto, vidi una quantità di persone completamente sfigurate. Ve ne erano lungo tutto il fiume e le loro ombre si proiettavano nell'acqua. I loro visi erano così orrendamente gonfiati che appena si potevano distinguere gli uomini dalle donne. I loro occhi erano ridotti allo stato di fessure e le loro labbra erano colpite da forte infiammazione. Erano quasi tutti agonizzanti ed i loro corpi malati erano nudi. Quando passavamo vicino a questi gruppi, ci gridavano con voce dolce e debole "Dateci un po' d'acqua", "Soccorretemi, per favore"; quasi tutti avevano qualche cosa da chiederci. Il cadavere nudo di un ragazzo giaceva nel fiume e, ad un metro di distanza, accovacciate su un gradino, si trovavano due donne. Riconoscemmo che erano donne soltanto per la loro acconciatura per metà bruciata. Trovammo infine un piccolo traghetto e, remando, giungemmo all'altra riva. Era quasi notte quando toccammo terra. Anche da questa parte sembrava che ci fossero molti feriti. Un soldato accovacciato sui bordi dell'acqua mi chiese di dargli un po' d'acqua calda. Appoggiandosi alla mia spalla, camminava sulla sabbia con sforzo. Bruscamente, mi disse: "Sarebbe meglio esser morti". Acconsentii in silenzio e, in quel momento, senza scambiare una sola parola, ci trovammo tutti e due riuniti in una incontenibile collera davanti alla pazzia che ci circondava. Seduto ad una tavola, un uomo dalla testa enorme e bruciata beveva acqua calda in una tazza da tè. Il suo strano viso sembrava fatto di una serie di grani di soia neri; inoltre i suoi capelli erano tagliati orizzontalmente all'altezza delle orecchie. Soltanto più tardi, dopo aver incontrato molti altri ustionati con i capelli tagliati orizzontalmente, finii per capire che le loro capigliature erano state distrutte sino al bordo dei loro cappelli. Al momento della marea, lasciammo la riva per risalire sulla banchina. Con l'oscurità, la notte si trasformava in inferno. Si udivano grida dappertutto "Da bere, da bere!". Improvvisamente un allarme:da qualche parte una sirena doveva esser rimasta intatta. Il suo urlo lacerò la notte. La città continuava a fiammeggiare:a valle, si scorgeva il bagliore incerto dell'incendio. Nel quartiere dei tempio, numerosi feriti gravi erano sdraiati un po' dappertutto, per terra. Non un albero, non una tenda per dar loro un po' d'ombra. Noi ci costruimmo un riparo appoggiando pezzi di tavole contro un muro e scivolammo li sotto. Dovemmo passare ventiquattro ore in quel breve spazio, dividendolo in sei. Due metri più lontano c'era un ciliegio che aveva conservato qualche foglia. Due studentesse si erano lasciate cadere sotto questo albero:avevano tutte e due il viso carbonizzato e, volgendo il loro magro dorso al sole, supplicavano che si desse loro un po' d'acqua. Erano giunte il giorno prima ad Hiroshima per partecipare alla mietitura e così erano state colpite da questa grande disgrazia. Il sole era al suo declino...Anche prima del levar del giorno, ascoltavamo intorno a noi il mormorio ininterrotto delle preghiere:in quell'angolo le persone sembrava morissero l'una dopo l'altra. Le due studentesse morirono all'alba. Nuovo allarme verso mezzogiorno; si intese un rombo nel cielo. Le persone morivano l'una dopo l'altra e nessuno veniva a portar via i cadaveri. Con l'aria sconvolta, i vivi erravano tra i corpi. Si videro allora tutte le rovine nelle strade principali. Uno spazio vuoto e grigio si estendeva sotto un cielo di piombo. Soltanto le strade, i ponti ed i bracci del fiume erano ancora riconoscibili. Nell'acqua galleggiavano cadaveri dilaniati, gonfiati. Era l'inferno divenuto realtà. Tutto ciò che era umano, era stato cancellato. I visi dei cadaveri si somigliavano tutti, come se portassero tutti la stessa maschera. Prima di irrigidirsi, le membra degli agonizzanti si agitavano sotto l'effetto del dolore e in maniera assai strana. I chilometri di cavi che coprivano il suolo e gli innumerevoli frammenti di pali elettrici costituivano un disegno pazzesco. Davanti allo spettacolo di un tram che sembrava fosse stato rovesciato e bruciato nello spazio di un lampo, o davanti a quello di un cavallo morto, con la carcassa smisuratamente gonfia, si aveva l'impressione di trovarsi al centro di un quadro surrealista. La nostra carretta attraversava interminabili spazi coperti di rovine; la serie delle case smantellate si prolungava sino alla più lontana periferia. Trovammo un paese verde ed intatto soltanto molto più avanti. La danza leggera delle libellule che folleggiavano al di sopra dei campi verdi di riso ci commosse profondamente. Di là, prendemmo la strada lunga e monotona che conduce al villaggio di Yáwata. Era notte quando vi giungemmo. Il giorno dopo dovemmo riprendere la nostra vita miserabile. Non solo non si vedeva nessun segno di miglioramento dei feriti, ma anche coloro che stavano bene si indebolivano ogni giorno di più e deperivano per mancanza di nutrimento. Qualche giorno più tardi vidi arrivare un allievo, mio nipote, che in seguito doveva morire. Al momento dell'esplosione si trovava a scuola. Quando vide l'accecante luce che entrò nell'aula, egli si gettò sotto il suo banco. Il soffitto era crollato e l'aveva seppellito, ma insieme con qualche compagno era riuscito a venir fuori attraverso un buco. La maggior parte dei fanciulli erano stati uccisi sul colpo. Con i suoi compagni, si era rifugiato su una vicina montagna; durante l'ascensione aveva continuato a vomitare un liquido bianco. Una settimana dopo il suo arrivo al villaggio cominciò a perdere i capelli e divenne calvo in due giorni. Già s'era sparsa la voce che un malato non avrebbe sopravvissuto alle sue ferite se perdeva capelli e sanguinava dal naso. Tuttavia mio nipote doveva vivere ancora qualche tempo malgrado il grave stato in cui si trovava...Verso sera, attraversai il ponte e mi diressi, attraverso i campi, in direzione del terrapieno che si trova ai margini di Yáwata. Una libellula nera asciugava le sue ali su una roccia. lo feci il bagno là, respirando assai profondamente. Girando la testa, vidi i piedi della montagna avviluppati nel crepuscolo, mentre le cime lontane scintillavano ancora al sole che tramontava. Si sarebbe creduto un paesaggio di sogno. Il cielo al di sopra di me era di un silenzio assoluto. Ebbi l'impressione di non esser venuto sulla terra che dopo l'esplosione della bomba atomica.
(T. Hara, "Lettera da Hiroshima")

domenica 1 febbraio 2015

GENOVA:COMUNICATO SULLO SGOMBERO DI VICO DEL DUCA

Oggi 10 Gennaio le merde della DIGOS di Genova, due grigi burocrati di A.R.T.E. (Azienda Regionale Territoriale per l'Edilizia) e quattro vili operai presentandosi alle 7 del mattino hanno sgomberato il palazzo occupato di Vico del Duca nel pieno centro storico di Genova. Lo stabile era stato ristrutturato completamente e lasciato a se stesso e senza assegnatari fino a quando nel Dicembre 2012 alcuni compagni, senza mediazione di sorta, lo hanno occupato a scopo abitativo. Ovviamente non abbiamo mai nutrito alcun tipo di fiducia nelle istituzioni e quindi neanche al fatto che potessero lasciarci tranquilli dentro le nostre case. Sappiamo che abbiamo a che fare con vili e meschini esseri umani che per uno stipendio buttano la gente fuori dalle proprie case. A parte lo sgombero delle nostre abitazioni, è cosa nota che a Genova e in altre città sono sempre più numerose le abitazioni "abusive", morosi indigenti e nuovi poveri che praticano l'occupazione per necessità o per scelta riprendendosi ciò che gli spetta e in conflitto con burocrati, politicanti e autorità. Non abbiamo slogan da rilanciare, diciamo solo che a Genova ci sono più di 40 mila case sfitte... non ci resta che sceglierne una! Sapete di posare il culo su una bomba sociale, noi speriamo che esploda presto.

Gli abitanti di Vico del Duca 11
LAS VEGANS HOUSE E' DAL 2005 UNO SPAZIO APERTO E LIBERO, SITUATO SULLE COLLINE A MONTE
PASTORE (30 CHILOMETRI DA BOLOGNA), DOVE CONVIVONO ANIMALI UMANI E NON.

AUTOPRODUZIONE - Incontri liberi di scambi di conoscenze perché crediamo che sia importante riappropriarci di saperi che possono rendere la nostra vita libera e non schiava delle multinazionali o dello Stato. Questo mondo ci vuole vedere eccellere in settori sempre più parziali dipendendo e rendendoci schiavi per tutto il resto. Pensiamo che condividere vecchi e nuovi saperi possa liberarci da queste assurde logiche. ANTISPECISMO E LIBERAZIONE ANIMALE - Ospitando e rendendo libere diverse specie animali provenienti da un passato di gabbie e sofferenza. Per contatti:lasvegans@autoproduzioni.net
COME ARRIVARE - Dall’autostrada: uscita Bo-Casalecchio. Da Bologna: prendere per Bazzanese (zona Stadio); Uscita Zola Predosa/Tolé (dopo i centri commerciali), segui sempre indicazioni per Tolé. Dopo Badie, 1km prima di Monte Pastore, sulla destra troverai le indicazioni per parcheggiare.